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La “nostra” migrazione: in un anno 1,46 milioni di europei cambiano Stato e il 30% va in Germania

In un piccolo comune della Puglia, il sindaco ha fissato il suo stipendio a zero euro assieme a quelllo dei suoi assessori. I risparmi servono per far salire il numero dei residenti del suo Comune dai 2.802 attuali, o almeno a evitare nuovi cali. Il sindaco offre duemila euro l’anno — sconti su tassa per i rifiuti, mensa scolastica o asilo nido dei figli — a qualunque famiglia europea decida di stabilirsi a Candela. La condizione è di non provenire da villaggi piccoli come Candela stessa: Gatta non vorrebbe mai spopolarli come è accaduto al suo Comune quando, in questi anni, centinaia di giovani se ne sono andati in Italia del Nord, Germania o Regno Unito. E’ una delle conseguenze di una crisi che riguarda il nostro continente: in Europa milioni di persone si stanno spostando sempre di più dai territori poveri di reddito e di opportunità — svuotandoli — verso le aree a densità sempre più alta di lavoro, conoscenze e reti sociali. Con la Grande recessione i giovani italiani, greci, spagnoli, bulgari, rumeni e di una decina di altri Paesi si sono messi in moto attraverso le frontiere dell’Unione.

scenari

Nel 2015 (ultimo anno registrato da Eurostat) si sono trasferite da un Paese europeo a un altro 1,46 milioni di persone, il 13% più di due anni prima. Gli espatriati europei, oltre il 3% della popolazione, sono la quarta o quinta nazione dell’area euro e a questi ritmi raddoppieranno in dieci anni. Il sogno dei fondatori si avvera: come in America, i giovani vedono nell’intera Unione Europea lo spazio nel quale realizzare le proprie vite. In Germania, al 2016, l’età media dei 4,3 milioni di europei residenti è di 31 anni. C’è però una differenza rispetto agli Stati Uniti o alle vaste migrazioni interne della Cina: la Ue non ha un bilancio comune che finanzi funzioni come scuole, polizia, sanità o pensioni nei territori che restano indietroeperdono le forze migliori a vantaggio degli altri. Il bilancio «federale» della Ue vale l’1% del reddito lordo, quello federale americano supera il 20% e anche così in America i territori rimasti indietro hanno reagito rabbiosamente eleggendo Donald Trump contro New York e San Francisco.

L’Italia per anni ha beneficiato dei flussi migratori, benché ora gli italiani che emigrano verso l’Europa siano almeno 100 mila all’anno più degli europei che vengono in Italia (e la popolazione residente, per la prima e unica volta dalla febbre spagnola di un secolo fa, è in calo). L’impatto è un enorme trasferimento di risorse dalle aree più povere e senza lavoro d’Europa verso l’economia leader: vale circa 200 miliardi di euro l’investimento di risorse pubbliche e private nell’istruzione scolastica e universitaria di quegli 1,7 milioni di europei in più che risultano residenti in Germania dal 2009 al 2016 (le stime del Corriere, caute, si basano sui costi indicati dall’Ocse su una ipotizzata quota del 30% di laureati). Così l’Europa unita diventa un sistema per Robin Hood alla rovescia, ma sarebbe patetico criticare i tedeschi solo perché sanno attrarreeintegrare gli altri. Anche ridurre la libertà di movimento in Europa andrebbe contro la volontà degli stessi europei (quasi il 90% si diceafavore, con gli italiani ultimi al 68%). Ma, da Candela, il sindaco ha qualcosa da dire a Bruxelles: datemi i progetti, e i soldi, per far fronte alle conseguenze.

(liberamente tratto dal Corriere della Sera del 2 gennaio 2018, Federico Fubini)