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La riconversione operativa dei beduini in Giordania

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di Francesco Gregoris

Ho sempre pensato che un professionista è professionista sempre, mentre lavora, mentre mangia, mentre dorme… e anche nel tempo libero. Quindi, se incontri per strada un dentista e gli sorridi, lui guarda tutti i tuoi denti e inizia inconsciamente a farti l’anamnesi delle arcate dentali. Allo stesso modo, immagino, se porti un architetto a casa tua, inizierà inconsciamente a misurare con gli occhi le volumetrie e gli spazi, per capire se e quanto sono equilibrati. Non immagino nemmeno il caso di andare a cena con uno psicologo e magari raccontargli un po’ dei fatti nostri… poverino! 

E tutto questo vale ovviamente anche per il commercialista. Anche in vacanza, inconsciamente, chi come me ha studiato economia e frequenta quotidianamente il mondo delle imprese nelle sue più diverse sfaccettature e declinazioni, non può non restare colpito da come le attività economiche si sviluppino nell’ambiente circostante. 

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Quindi, appena sono arrivato nel deserto del Wadi Rum, in Giordania, non ho potuto fare a meno di notare come il popolo dei beduini si sia elegantemente convertito dall’antica attività di pastori nomadi a quella più moderna, ma non per questo meno tradizionale, di ospitali e soprattutto preparatissimi operatori del settore turistico. Che detto così, ovviamente, fa perdere molto se non tutto della poesia che regalano quei luoghi meravigliosi. Però inevitabilmente, mentre il bravo Yassir ci scarrozzava con la jeep per tra le dune del deserto rosso, quello in cui hanno girato “The Martian” per intenderci, con al fianco l’inseparabile figlio Turky di 10 anni, non potevo non chiedermi come queste persone passassero le loro giornate e come e quanto il deserto ne fosse l’elemento dominante. E la riposta arriva poco più tardi, quando la nostra guida, in un inglese perfetto, ci racconta che vive in una bella casa in un villaggio ai margini del deserto, dove cresce i suoi figli e si dedica ai suoi hobby, tra cui la tradizionale caccia con il falco, di cui ci dà testimonianza mostrandoci delle foto da uno dei suoi numerosi smartphone. Un tanto è bastato per placare il mio autismo da commercialista per alcune ore, fino a quando, sprofondando tra i divani dell’accampamento nel cuore del deserto, sotto una stellata senza fine e dopo un’abbondante e prelibata cena a base di carne cotta sotto la sabbia, mi sono messo a fare il business plan del camping partendo dal prezzo di una notte, per il numero di posti medi desumibile dal numero dei bungalow tenuto conto della stagionalità, meno il costo degli operatori che non si capisce quanti siano perché ogni secondo ne spunta un altro… fortunatamente il buon Abdul ha interrotto il mio delirio da lavoro raccontandoci un po’ di se.

giordania5Beduino di 25 anni (spero non me ne voglia, ma ne dimostra 40…) dirige quello che è forse il più bello tra i 200 (si, duecento!) camping che si trovano nel deserto del Wadi Rum. La madre è insegnante e lui, che parla perfettamente inglese e abbastanza bene l’italiano, ha studiato per fare il cineoperatore, ma ha preferito (immagino per sane ragioni economiche) dedicarsi al turismo e all’ospitalità. Il giorno dopo il buon Abdul ci accompagna a prende l’auto che ci porterà a Petra, immortalata da George Lucas in “Indiana Jones e l’ultima crociata” e oggi considerata tra le sette meraviglie del mondo. Anche qui siamo immediatamente circondati dai beduini che offrono educatamente i loro servizi. Chi fa la guida turistica (e li senti parlare in inglese, francese, spagnolo e perfetto italiano), chi accompagna i turisti con l’asinello in giro per il sito archeologico (che per la cronaca occupa 264 kmq e raggiunge i 1.500 metri di altitudine), chi vende souvenir e chi semplicemente serve il tè accanto al fuoco. Tutti con i loro abiti tipici, cellulare (anche a dorso dell’asinello), tutti si conoscono tra loro, si salutano e si rispettano svolgendo con ordine e puntualità i loro compiti.  

Il mattino seguente continuo a pensare a queste persone che, oltre ad essersi integrate perfettamente nel territorio che li ospita da centinaia d’anni (senza distruggerlo, il che non è poco…), si sono adeguate al cambiamento economico e sociale ed hanno convertito la loro attività al servizio dei turisti che si avventurano questi luoghi splendidi e perfettamente conservati. Come avranno fatto? Chi li avrà aiutati? La risposta non tarda ad arrivare. Il driver che ci porta da Petra al Mar Morto ci spiega che molti anni fa il governo (si badi bene, loro hanno il re, ma parlano sempre di governo) ha costruito dei villaggi ai margini delle grandi attrazioni turistiche e vi ha trasferito i beduini offrendogli gratuitamente alloggi, servizi e soprattutto, istruzione (i loro bambini parlano inglese meglio di me…). 

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E così mentre mi viene svelato l’arcano segreto di questa equilibrata riconversione operativa percorriamo la lunga strada che ci porta verso la capitale Amman, attraverso verdi colline piantumante di olivi e vigneti e infinite distese di ortaggi (in questo momento stanno raccogliendo pomodori!). 

Il nostro ultimo driver deve avere quasi 70 anni. Ha studiato e vissuto in Romania per molti anni e tra i suoi viaggi ha visitato anche Venezia e Trieste. Gestisce un piccolo albergo nel centro di Madaba e diversamente dai suoi connazionali ha solo 4 figli (tutti laureati e felicemente occupati) e qualche nipotino. 

Ad Amman si conclude un lungo viaggio fatto di siti archeologici, meraviglie della natura e, soprattutto, persone. Persone semplici che vivono in perfetto equilibrio con l’ambiente che li circonda, composto da meraviglie della natura, meraviglie della storia e migliaia di turisti che ogni anno vi si recano per contemplarle. 

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